Caro Marcolino, la tua scomparsa mi ha lasciato un vuoto incolmabile. È stato come una bufera di neve durante il mese di luglio. Non so se mi spiego. Il giorno in cui ci hai lasciato, una sola e banale parola continuava a riecheggiare nella mia testa: “perché”? E più cercavo di dare una risposta, un senso e più non lo trovavo. Forse, semplicemente perché un senso non c’è e mai ci sarà. Ma ora sai qual è la cosa che fa più male? Il rimpianto. Il rimpianto di essermi allontanata da te dopo la fine del liceo; il rimpianto di non esserti stata vicina negli ultimi tempi, tristi e sofferenti, della tua vita. Avrei voluto salutarti per l’ultima volta, dirti che ti volevo e che ti avrei voluto bene per sempre e ringraziarti per tutte quelle volte che mi sei stato vicino in quei fantastici 5 anni di liceo. Ma quando stavo per fare ciò, era già troppo tardi: il nostro angelo era già volato via, lasciando il suo dolce e solare ricordo nei nostri cuori. Se mi soffermo, anche per un solo attimo, a ripensare all’esperienza liceale (grazie alla quale ho avuto l’opportunità di conoscerti!), nella mia mente scorrono innumerevoli flashback. E così rivedo quella scuola, quella classe, quei banchi; vedo io che ti prendo in giro insultando il tuo amato Benevento e tu che mi rincorri per tutta l’aula! E ancora: io che piango per un 5 all’interrogazione di biologia e tu, da persona altruista e certamente più matura di me, ti avvicini al mio banco e spendi parole di conforto per me, riuscendo a strapparmi una risata! E il tuo 18° compleanno? Come potrò dimenticarlo! Quella sera ci divertimmo come matti! Per non parlare della gita a Loret De Mar, l’ultimo anno! Quante risate ogni giorno nel pullman, con te e Giovanni seduti dietro me e Carmen! La giornata ad Avignone poi resterà una delle più belle della mia vita, quante risate che ci facemmo io, tu, Giò, Carmen e Marilina! Ancora oggi conservo gelosamente le foto che ci scattammo quel giorno! E tutte quelle volte che io mi arrabbiavo con te perché eri l’unico a voler entrare nonostante ci fosse lo sciopero per la riforma Moratti? Mi fermo qui, altrimenti finisco per occupare tutte le pagine di questo sito, che non può che essere il modo più speciale per ricordare una persona ancora più speciale, quale tu sei stata e sarai per sempre. In fondo, “non si muore mai per sempre, qualcosa di noi resterà nel cuore di qualcuno” e tu, caro Marcolino, credimi, avrai per sempre un posto nel mio cuore. Io non ti dimenticherò mai. Colgo l’occasione di questa dedica per ringraziarti per tutte quelle volte che mi hai aiutata, sia nelle piccole che nelle grandi cose. Grazie per essere venuto a “trovarmi “ per ben tre volte nei miei sogni quando mi hai detto che ”lì” stai bene, sei con tua mamma e che noi non dobbiamo preoccuparci per te, e soprattutto quando, in quello che resterà il sogno più bello della mia vita, mi hai affettuosamente abbracciata! Marcolì, ti voglio un mondo di bene, per sempre.

Ilaria Maturo

Parlare di Marco Santamaria è solo apparentemente facile, così come può sembrare facile parlare dei santi, ma in realtà, parlare di lui, di sua madre, della loro vita e della sua famiglia è molto difficile. Marco è stato educato mirabilmente alla vita sociale e cristiana, soprattutto dalla madre Rita, volata in cielo circa tre anni prima di lui, recisa nel corpo, ma non nello spirito e nell’anima, da quella stessa malattia che doveva poi toglierci, solo fisicamente, anche Marco. Rita era un esempio di bontà, di signorilità, di fede, di pietà mariana, di dedizione agli altri, di amore alla Chiesa vera di Gesù, attraverso la sua vicinanza alla Madonna Avvocatella di Cava dei Tirreni, cui era consacrata insieme a tutta la famiglia e “ai fraticelli” Francescani dell’Immacolata, come Marco li chiamava. Fraticelli in mezzo ai quali Rita aveva fatto crescere, fin da piccoli, Marco e sua sorella Valentina. Questa vicinanza alla parte migliore e più austera della Chiesa di oggi, unita al buon esempio dei genitori. Il padre Carmine, come un fedele San Giuseppe, seguiva in tutto la moglie, aveva trovato in Marco un “humus” particolarmente fertile e fecondo, tanto da fargli bruciare le tappe nel cammino della santità. Marco viveva la sua fede giovane, con sincerità, con trasporto; ricordo lui e la sorella Valentina, seri, mai stanchi, sempre attenti e partecipi ai vari pellegrinaggi del 13 del mese al Santuario della Madonna Avvocata di Cava dei Tirreni. E’ difficile trovare dei bambini o anche dei ragazzini, che in tali circostanze, talora “lunghe” ed un po’ “pesanti” anche per noi adulti, non esprimano, almeno in qualche momento, un moto di impazienza, di desiderio di andare via, loro no, Marco e la sorellina, vivevano con grande serietà il difficile cammino di consacrazione alla Madonna Avvocata di Cava dei Tirreni, erano già più “adulti” degli altri, non nel corpo, ma nello Spirito Santo, che li riempiva e li plasmava. Marco così cresceva, non solo fisicamente, ma soprattutto nello spirito di maturità e di bontà a grandi passi, sempre serio e composto, pur riuscendo a mantenere la gioia di fondo di un giovane sano e pieno di amore per la vita, per la carità e la fede. Egli trovava naturale dare sfogo a tutti questi tesori che aveva dentro, dedicandosi, come ha fatto fino agli ultimi tempi della sua breve, ma intensa vita terrena, a varie opere di volontariato cattolico senza trascurare un sano amore per lo sport. Per formazione familiare e per esperienze particolari di vita, sono un uomo piuttosto deciso e diretto e le uniche persone che mi intimidiscono nella vita sono i santi. Ho avuto la fortuna di conoscerne diversi e non solo in Italia: Marco Santamaria, a mio parere, era uno di questi. Quando lo incontravo e scambiavo qualche parola, egli in qualche modo mi metteva in soggezione, mi ridimensionava, pur non dicendomi niente di particolare, tuttavia la sua sola presenza e vicinanza mi spingeva a fare i conti, sia pure in un attimo, con la mia vita e con le cose che dovevo e devo correggere, poiché siamo tutti in cammino verso Dio. Credo che questa sensazione l’abbiamo provata in molti stando con lui ed è la sensazione che si prova quando si parla con i santi. Ci sarebbe ancora tantissimo da dire su Marco, altri lo faranno meglio di me, soprattutto i giovani, ma ora desidero dire quello che profondamente credo essere stata la causa del martirio immane di questa famiglia, che ha visto, nel giro di due anni, la perdita di Rita e di Marco, senza contare le tante pregresse sofferenze di Rita: l’invidia delle persone, sofferenze occulte, che hanno costellato tutta la sua vita, che meriterebbero non una nota, ma un libro a parte, che forse mai nessuno scriverà, ma che è scritto nel cuore di Dio che li ha accolti nel Paradiso.

Un amico vincenziano

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