La morte di un giovane ventiduenne non potrà mai essere abbastanza compresa se ci appoggiamo a logiche e ragionamenti soltanto umani e se ci lasciamo troppo convincere dalla mentalità odierna la quale sostiene che con la morte l’uomo finisce, cade nel nulla. Da qui la triste conseguenza a godersi la vita ricercando il piacere ad ogni costo anche se esso inevitabilmente sfocia nell’immoralità. Quante volte, da più parti, ascoltiamo affermazioni del tipo: ”La vita è una, perciò me la godo come meglio posso….” Chi ha conosciuto Marco Santamaria, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, ha potuto constatare che egli non la pensava così. Pur essendo un giovane di questo nostro mondo, figlio di questa imperante cultura postmoderna, Marco ha interpretato la sua vita e quella degli altri a partire da un’altra dimensione. Egli ha guardato la sua vita personale e quella del mondo con gli occhi lucidi della fede in Cristo Gesù. Altri erano i suoi parametri. Altri i criteri che hanno illuminato la sua breve esistenza. Non si è affidato alla sola ragione. Non si è lasciato trasportare dalla sua vivace intelligenza. No! Marco ha posto innanzitutto l’amore di Dio e del prossimo come i due principali fondamenti su cui costruire tutta l’abitazione della sua esistenza. Marco ha imparato a sue spese ad osservare la vita dalla prospettiva di questi suoi due grandi amori: Dio e il prossimo. Pertanto anche noi, guardando la vita secondo la prospettiva di Dio, arriveremo a comprendere nei giusti termini la morte che ha spezzato così repentinamente una giovane vita. Nella Parola di Dio troviamo già alcune convincenti spiegazioni. San Paolo ci assicura che, se anche il nostro esteriore si va disfacendo, quello interiore si trova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. La sua fede in Dio è stata incrollabile. Il suo amore per Dio autentico e sincero. Perciò, la sua anima fu gradita al Signore. Divenuto caro a Dio, fu amato da Lui e fu trasferito. Marco non è morto, come noi crediamo. Marco non è finito. Egli in Cristo è il vivente. È entrato in quella dimensione dalla quale aveva imparato a guardare correttamente la via e il mondo, egli si trova tra coloro, come afferma l’evangelista Giovanni, che il Padre ha affidato a Cristo perché siano dove il Cristo è, perché contemplino la Sua gloria, perché l’amore con il quale il Padre ha amato Cristo sia in tutti coloro che amano Cristo. Marco adesso è sopraffatto dall’Amore di Dio. Quell’Amore che ha sempre cercato, messo al primo posto e testimoniato senza vergogna e senza riserve. Poiché Marco è morto nel Signore, propriamente parlando non possiamo parlare di morte. Ogni uomo che vive e crede in Cristo non morirà in eterno. Morire con Cristo, dona la vita. Marco è vissuto con Cristo ed è morto con Cristo. Di lui si può dire quanto scrive l’apostolo Paolo: “Sia che viviamo,sia che moriamo, siamo del Signore” (Romani 14,8). Marco in vita è stato del Signore, in morte è altrettanto del Signore, vera sorgente di vita immortale. Egli si è consegnato nelle mani di Colui che ha detto di sé “Io sono il buon Pastore” (Giovanni 10,11), colui che anche sulla strada dell’ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me, guidandomi per attraversarla (Spe Salvi, 6). Marco nella malattia e nel momento della morte è stato un’epifania dell’Amore di Dio. Chi lo ha incontrato in questi momenti ha fatto una vera esperienza di Dio. Come nella sua breve esistenza ha reso testimonianza al prossimo che Dio ci ama in Cristo Gesù, così il momento del suo trasferimento è stata un’altrettanta testimonianza che Dio ci ama in Cristo Gesù. Infatti, ”Come nella vita intera” - dice sant’Ignazio di Loyola - così anche e ancor più nel momento della morte, ciascuno dovrà badare bene e preoccuparsi che nella sua persona Dio, il nostro Signore, venga glorificato, servito e il prossimo tragga motivo di edificazione”. Sono testimone che Marco, qualche giorno prima della sua definitiva dipartita, non si preoccupava più di guarire piuttosto di morire bene. Le ultime parole che mi ha rivolto prima di salutarci sono state queste: ”Don Alessandro, pregate perché io faccia una buona morte”. Marco è morto come è vissuto, serenamente abbandonato alla volontà di Dio. La vita di Marco è un cantico di lode a Dio. Per noi invece deve essere un esempio concreto che ci attesta come sia possibile mettere Dio al centro della nostra vita. Dio e il Suo amore prima di tutto e al di sopra di tutto. Se vogliamo veramente bene a Marco dovremmo vivere esattamente così.

don Alessandro Saraco

Siamo stati sempre abituati a scrivere di sport, a raccontare le gesta di campioni che si distinguono nelle loro discipline. Questa volta, e lo facciamo con un nodo forte alla gola, parliamo di un giovanissimo campione che nella vita si è distinto risultando il numero uno, ma che questa stessa vita terrena ha lasciato troppo presto. Marco, un ragazzo che amava la vita e che nonostante tutte le sue disavventure, riusciva a trasmettere una serenità e una profonda tranquillità a chi gli stava vicino. Marco, un giornalista che scriveva con il cuore e con la gioia di raccontare le gesta dei suoi eroi giallorossi: Clemente, Gori, Evacuo, Palermo. Un giornalista non solo innamorato di calcio, ma anche di tutti gli altri sports, seguiti con attenzione e passione dalle tribune dei vari palazzetti sanniti. Marco, un uomo di fede. Il suo impegno in diverse comunità parrocchiali e in varie associazioni di volontariato è stato svolto sempre con grande forza d’animo. Tre anni fa la prematura perdita della madre non ha scalfito la sua forte fede. È stato la guida della sua famiglia e negli ultimi due anni ha portato la croce lungo un calvario fatto di tanta sofferenza, ma affrontato sempre con il sorriso sulle labbra insieme a tre meravigliose persone: il papà Carmine, la sorella Valentina e la fidanzata Carmen. Noi, amici, colleghi e gente comune, da amanti dello sport e della vita ci alziamo in piedi e applaudiamo il nostro caro Marco Santamaria che adesso non siederà più con noi per assistere alle gare sportive, ma da lassù ci proteggerà e continuerà a scrivere pagine d’amore.

Luca Romano

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